In questa intervista profonda e ispiratrice, Ronit Mandel Abrahami e Lorella Amabile, Psicoterapeuta dell’età evolutiva e allieva di lunga data, esplorano il potenziale trasformativo del Metodo Ronit®. Attraverso il movimento, il metodo non solo modella il corpo, ma scuote la coscienza, permettendo di affrontare il dolore e le resistenze come risorse, e non come ostacoli. Lorella racconta come il lavoro corporeo, unito alla bellezza artistica del movimento, abbia cambiato la sua percezione della vita quotidiana, confermando che il vero cambiamento nasce dall’unità di anima, corpo e mente. Un dialogo sull’autenticità, la bellezza e l’amore per la creazione che permea ogni gesto, dalle lezioni alla vita di ogni giorno.
È vero che vieni da me da tanti anni, ma hai mai riflettuto su come era la Lorella a livello fisico, animico e mentale prima di iniziare il mio metodo? Ti capita mai di pensare ai cambiamenti che hai fatto?
«Più che pensarci, li riconosco, li vedo e li sento. Ora che mi fai questa domanda, posso dire che anche prima di iniziare il percorso con te, sono sempre stata piuttosto sportiva, facevo diverse attività, quindi avevo già un’attenzione al movimento. E anche il piacere di sentirmi bene nel mio corpo. Devo dire che, quando ho cominciato a lavorare con te, inizialmente attraverso la danza, in particolare l’espressione artistica della danza come l’hai insegnata tu, ho iniziato ad entrare più in contatto con la mia femminilità e con la bellezza del movimento, tipica dell’espressione artistica. In questo caso, la tua danza mi ha dato moltissimo.
Poi, quando ho iniziato la ginnastica che tu chiami ‘modellante’, effettivamente lo è stata. Inizialmente, si è trattato di un modellamento a livello muscolare e posturale, una grande scoperta e un’altra passione che si è sviluppata accanto alla danza. Ma col passare del tempo, ho capito che il tuo modo di utilizzare il movimento va molto oltre: è più sottile, più profondo, e apre sicuramente a un livello completamente diverso.»
Volevo chiederti qualcosa di più diretto: fino a che punto lavorare con il mio metodo scuote la coscienza di sé? Approfitto del fatto che sei una psicologa.
«Nel mio lavoro mi sento inevitabilmente già coinvolta nello scuotere la coscienza. La specificità del tuo metodo, e del tuo modo di lavorare, è che parti dal corpo, e questo risuona profondamente in me, non solo perché mi piace l’espressione corporea e la danza, ma anche perché trovo che il corpo sia una porta di accesso fondamentale per arrivare a scoprire le proprie verità.»
Lo so che non è facile. Quando parlo di “scuotere”, intendo riuscire, in qualche modo, ad abbattere ciò che è vecchio, fisso e stagnante, e intraprendere un cammino che coinvolge tutte le sfumature e le sfaccettature della vita, dalla salute al sentirsi meglio con il proprio corpo. Ma c’è un aspetto di cui si parla poco: accettare anche il disturbo.
Per esempio, oggi abbiamo lavorato sul dolore. Ho detto: prendete quel punto che vi fa spesso male, perché quelle zone che affrontiamo sono sempre indolenzite per mille ragioni. Ho proposto di parlare con il dolore e di renderlo un amico. Ecco, questo è ciò che dovrebbe scuotere: ci hanno insegnato a contrarci, a isolarci, a riposare e a ignorare quella zona dolorante, perché se la tocchi o la muovi, fa male. Siamo stati educati ad allontanarci dal dolore, non a comunicare con esso.
«Diciamo che, per me, non è una cosa nuova, perché nella mia formazione professionale considero l’espressione del dolore, cioè il sintomo, come una strada da percorrere. Non si può abbattere subito; ci si avvicina piano piano, cercando di attraversarlo e risolverlo; la tua specificità è partire dal corpo, è questo che rappresenta la novità nel tuo approccio.»
La verità è che parlare del dolore in teoria è facile, siamo tutti molto bravi a farlo. Ma quando lo si vive davvero, nel corpo, il dolore annulla qualsiasi buon senso. Quando soffriamo, perdiamo l’equilibrio, è decentrante. Il lavoro che sto facendo sul dolore, invece, punta proprio a ritrovare il centro. È questa l’esperienza su cui mi interrogo: scuote davvero i vecchi schemi sul dolore? Te lo chiedo a te, perché penso che il tuo punto di vista possa aiutarmi a capirlo meglio.
«Come dire, imparare ad andare incontro al dolore, invece di difenderci e respingerlo. Andarci un po’ incontro, accettarlo e capire cosa ci vuole comunicare, invece di chiuderci e isolarci.»
Non è scontato, perché ci sono esperimenti scientifici che dimostrano chiaramente che quando abbiamo un qualsiasi disturbo, questo peggiora a causa delle contrazioni muscolari. Ad esempio, l’intestino, che è appoggiato sull’iliopsoas, ne risente molto. Quando l’iliopsoas è morbido, sciolto, allungato e forte, aiuta a ridurre l’infiammazione dell’intestino. Allo stesso tempo, una cattiva postura porta a contrazioni muscolari che causano infiammazioni anche nelle viscere, in particolare nell’intestino e nello stomaco. Perciò, dimmi: da psicologa, un lavoro corporeo può diventare psicologia anche quello, no? C’è una connessione tra la psicologia e il corpo, che io chiamo “la psicologia del linguaggio del corpo”. Per noi ebrei, il cuore è un cervello, il fegato rappresenta la parte più bassa dell’anima, e il cervello la parte più alta, ma tutto è collegato a livello corporeo.
«Per qualche tempo ho fatto una bellissima e utilissima esperienza con una forma particolare di psicoterapia, la bioenergetica, che è proprio l’incontro tra corpo e mente; mi piace molto questo approccio. Tuttavia, c’è uno specifico che ti appartiene, al di là dell’espressione corporea, della consapevolezza e dello spirito, e questo deriva dal fatto che, almeno per come ti ho conosciuta come insegnante di danza, è l’aspetto estetico. Parlo della bellezza del movimento. Ad esempio, l’esercizio che abbiamo fatto oggi era esteticamente bello, e questo ha a che fare con il fatto che sei un’artista. Non è solo questione di isolare e sentire il dolore, o lavorare con il dolore comprendendolo e unendo articolazioni diverse. Come hai detto stamattina durante la lezione, è importante chiedersi come queste articolazioni possano compenetrarsi, quasi come un atto amoroso. È il saper organizzare un movimento affinché sia esteticamente bello, oltre che funzionale.»
Ti ringrazio, perché a volte non ci penso, anche se parlo sempre dell’estetica. È bello che tu abbia focalizzato questa cosa, perché si dice spesso che la bellezza salverà il mondo, ma si parla di quella bellezza profonda. Quando dico “psicologia” è perché il corpo manifesta il nostro stato mentale ed emotivo, e io sento che a volte il corpo racconta molte più verità delle parole. Le parole spesso sono una recita, una narrazione che ci piace mettere in scena. Il corpo, invece, è autentico.
Oggi ho attinto al linguaggio del corpo, alla parte più sensibile: il dolore. Posso dirti che, quando ho provato dolore al braccio – a volte insopportabile, arrivando fino al cervello – e dopo aver subito un intervento senza anestesia con un’infezione dolorosa, ho capito la forza di sopportare quel dolore. Quel momento mi ha fatto apprezzare ancora di più il valore del mio lavoro. Psicologicamente, mi ha cambiato. Era facile urlare, esprimere il dissenso, e non voler stare lì, ma ho capito, anche durante esperienze come la gastroscopia, che la mia forza di sopportazione mi ha aiutato. Ho ingoiato quel tubo orribile e, invece di resistere, ho collaborato. È già la terza volta che lo faccio senza anestesia.
Quando parlo di “psicologia”, intendo l’idea di stare bene, anima e corpo, come un tutt’uno. Zamir Cohen fa un bel lavoro su come rafforzare la nostra psiche e gestire l’inconscio, per evitare che ci stravolga o ci faccia smarrire. Noi tendiamo a buttare nell’inconscio ciò che non vogliamo accettare, ma è importante imparare a gestire quella parte sconosciuta dentro di noi. Io sento che lavoro proprio su questo sconosciuto nel corpo, su un’estetica che non ci viene insegnata, perché si pensa che l’estetica sia solo una cosa studiata a tavolino. Oggi, tu hai visto bellezza anche nel sistemare un dolore, nel connettere due articolazioni con un senso estetico che un fisioterapista forse non avrebbe.
È per questo che volevo legare questi concetti insieme. Come psicologa, sei una delle poche che può davvero rispondere bene a queste riflessioni.
«Ieri dovevo sollevare un peso, qualcosa di ingombrante, e portarlo da casa fino all’auto Mi sono ricordata di quello che mi hai insegnato, quando parli di come portare i sacchi, curvandosi leggermente e chiudendo la pancia. Così l’ho fatto, ho portato questo peso senza sentire dolore. Ti ringrazio per questo, davvero. È qualcosa che mi ha fatto riflettere su quanto ciò che impariamo con te non si limita solo all’ora di esercizio. È qualcosa che diventa parte del quotidiano, un modo di stare e muoversi. È diverso rispetto alla palestra, dove, solitamente, si fanno esercizi e basta. Qui, invece, quello che impariamo lo portiamo con noi nella vita di tutti i giorni, per situazioni come portare la spesa o sollevare pesi.»
Nel mio lavoro, osservo spesso persone che praticano yoga o altre discipline e dicono che bisogna applicarle nella vita quotidiana, ma manca un vero impegno nel trasmettere questa esperienza a un livello di coscienza più profondo. Diventa solo una conoscenza teorica, che rimane confinata al piano logico-razionale, senza trasformarsi in qualcosa di personale, come un abito cucito su misura. A volte, infatti, non basta dire le cose giuste: è essenziale fare da ponte, aiutando la persona a interiorizzare ciò che diciamo, come se le consegnassimo questa esperienza a domicilio, così che entri realmente nella sua vita, nel suo corpo.
È proprio questo che studio da anni, perché credo che il mio metodo non sia solo un modo di insegnare, ma anche un mezzo per trasferire conoscenza in modo che diventi consapevolezza per chi la riceve. Che ne pensi?
«A proposito dell’idea di ‘abito su misura’: il tuo metodo mi fa pensare alla differenza tra acquistare abiti già pronti e avere invece un abito cucito addosso, che si adatta alla persona. Quando un abito è fatto su misura, si tiene conto di ogni dettaglio, anche dei difetti, che diventano caratteristiche uniche, da valorizzate, trasformandosi da ‘imperfezioni’ a tratti distintivi.
Nel tuo metodo, noto qualcosa di simile: proponi movimenti o esercizi in modo personalizzato, offrendo alternative che rispettano le differenze di ciascuno. Per esempio, se l’obiettivo è fare la spaccata, ognuno può arrivarci in modi diversi: c’è chi ha bisogno di due supporti, chi di uno solo e chi addirittura non ne necessita. In questo modo, il movimento si adatta al livello e alle caratteristiche uniche di ogni persona.»
Senza rinunciare a farlo. Non voglio che rinunciate, anzi: credo fermamente che sia positivo, perché fa parte della mia filosofia accogliere tutto ciò che il corpo ci comunica, dal dolore ai blocchi, dalle difficoltà alle resistenze. Usiamoli a nostro favore, trasformandoli in risorse. Questo è il mio motto. Lo senti anche tu questo principio? Quando lavori, percepisci anche tu che affronti ogni aspetto – dolore, blocchi, schemi rigidi – con una prospettiva di dialogo e comunicazione, anziché di scontro?
Ti rende felice lavorare con me da venticinque anni? Nonostante tutto questo tempo, ti senti ancora di rinnovarti, perché il vero cambiamento nasce dalla coscienza? Gli esercizi possono restare gli stessi, ma il modo in cui li interpretiamo può trasformarsi costantemente. Mi interessa sapere il tuo punto di vista sulla percezione: dopo venticinque anni, lavorando con un approccio sempre nuovo, ti annoi mai o continui a scoprire nuovi mondi dentro di te?
«Ti rispondo con le parole di un signore di ottantacinque anni che dice: ‘La vecchiaia non esiste, finché usi la fantasia resti giovane, e finché riesci a vedere qualcosa di nuovo nelle solite cose, rimani sempre un po’ bambino.’ Questo costante rinnovarsi è davvero meraviglioso!»
Infatti, penso che si possa stare insieme anche ottant’anni, senza mai annoiarsi, se una persona sa vedere angoli infiniti. È un problema di chi non sa guardare oltre il proprio naso: è questa la difficoltà di tanti, sia nell’attività fisica, che nell’amore o nell’amicizia. Grazie, davvero, per aver riconosciuto in me un’artista. Per noi ebrei, la creazione è il più grande atto d’amore che Dio ci ha donato. Non esiste gesto più grande della creazione, che sia mettere al mondo un figlio, costruire un’amicizia, sviluppare un esercizio che cambi la vita – dietro ogni atto creativo c’è amore.
E tu senti che il mio amore per la vita e per voi si trasmette? Che è anche ciò che vi aiuta a rinnovarvi, a riscoprirvi continuamente? Questo processo di ‘distruzione e ricostruzione’ richiede un amore profondo per la vita stessa, la capacità di morire e rinascere sempre.
«Esatto, altrimenti non sarebbe possibile. Non si può fare un lavoro che si rinnova costantemente se chi lo propone non si rinnova a sua volta. Tu hai portato questo rinnovamento continuo, e poiché non smetti mai di esplorare e scoprire, riesci a trasmettercelo. Non sarebbe possibile se tu non fossi così.»
Non è affatto scontato, perché sappiamo bene come funziona oggi: il consumismo e il guadagno spesso prendono il sopravvento. Una persona può anche avere passione per ciò che fa, ma quante volte vediamo che appena arriva l’orario di chiusura non vedono l’ora di andare via. Io invece, quando non ho altre lezioni subito dopo e posso permettermi di rimanere, mi fermo anche oltre l’orario. Penso che voi lo sappiate, perché quante volte mi avete visto restare fino a completare ogni movimento, finché la frase di quel movimento non è arrivata al suo senso pieno. Non riesco a chiudere se non faccio così – è un vero atto d’amore per la vita e per le persone.
È bello, lavorare con un metodo che ti ricorda costantemente che senza amore non siamo nulla.