Essere artista è una funzione dell’anima

In un tempo in cui l’arte viene spesso ridotta a spettacolo o fama, questo articolo invita a riscoprire il senso più profondo dell’essere artisti. Oltre i luoghi comuni che circolano nel web, tra frasi fatte e visioni distorte, l’autrice riflette sulla creatività come espressione sacra della coscienza, gesto che unisce l’essere umano al mistero della Creazione. Un invito a guardare ogni gesto come arte, ogni parola come portale, ogni anima come custode di un disegno più vasto.

Essere artista è una funzione dell’anima

Non un’etichetta, ma un atto di creazione consapevole

Sto raccogliendo e analizzando pensieri e dichiarazioni di intellettuali e personaggi noti, non per giudicare, ma per osservare con lucidità il livello di coscienza e di intelligenza che riflette oggi la nostra società. L’intento non è criticare le persone, bensì comprendere quanto l’inquinamento delle informazioni abbia deviato la nostra percezione della verità e del sapere.

Sento spesso dire che un vero artista non si proclama tale. Ma questo non è altro che un velo d’illusione. Chi si presenta come medico, insegnante o maestro, afferma semplicemente la propria funzione nel mondo.

Un’affermazione del genere rivela una comprensione ancora parziale della realtà, perché ogni mestiere, ogni atto, non è che un riflesso dell’opera incessante del Creatore. Il mondo stesso è un flusso perpetuo di creazione, un frammento del gesto divino che plasma, distrugge e ricompone.

Noi siamo qui per essere i custodi e i continuatori di quel gesto sacro. Anche spazzare una stanza o raccogliere un granello di sabbia è un atto creativo, perché dentro la creazione dimorano la bellezza, la purezza, l’armonia e la capacità di tessere e ritessere i frammenti della realtà.

Come insegnano anche i maestri tibetani, che tracciano mandala di sabbia: geometrie perfette che, in un soffio, si dissolvono nel nulla. Eppure, proprio in quell’impermanenza vive la rivelazione. È lo Tzimtzum, la contrazione e l’espansione dell’universo, il mistero della creazione che si manifesta e si ritrae, lasciando spazio al nuovo.

Dire “io sono un artista” implica due livelli di coscienza. Il primo, terreno, è legato alla funzione creativa visibile: un mestiere, un lavoro, una chiamata che prende forma nel mondo materiale. Ma vi è un secondo livello, più sottile e profondo, che appartiene a una coscienza elevata: la consapevolezza che ogni gesto, ogni azione, ogni intenzione è parte dell’atto creativo originario.

La creazione non è un evento passato, ma un processo continuo. Il mondo della materia esiste solo perché, in ogni istante, viene ricreato. In questo senso, l’artista – il pittore, lo scultore – non è colui che inventa, ma colui che si allinea. Il soggetto che rappresenta è già esso stesso un’opera d’arte, un riflesso della bellezza originaria. L’artista non fa che partecipare a quell’Opera infinita, proseguendo il gesto sacro del Creatore.

In verità, siamo tutti artisti. Questa è la natura più autentica di ciò che chiamiamo anima: il nostro “io” vero, la scintilla divina che dimora nel centro più silenzioso del nostro essere. Essere artisti significa riconoscere di essere canali della Creazione, strumenti consapevoli del gesto continuo con cui il Divino modella, rinnova e trasfigura ogni cosa.

Nel mondo terreno, chi raggiunge la fama si guadagna il titolo di “artista” – e non è certo mia intenzione sminuire la maestria con cui egli esercita la propria arte. Ma ciò avviene secondo i parametri sociali.

La verità risiede oltre il velo. L’arte autentica non nasce dal successo, ma dalla coscienza. Ogni mestiere – dal più visibile al più “umile” – si sublima quando in esso è presente l’ingrediente invisibile ma fondamentale: la creatività come impulso originario della vita stessa.

Non esiste azione che, se attraversata dalla consapevolezza, non diventi arte. E non esiste professione che, se animata dall’ispirazione, non si trasformi in un atto sacro di co-creazione.

In ogni mestiere c’è creatività, anche nel gesto più semplice. Anche pulire è creare, perché è un atto di purificazione: sul piano visibile si pulisce uno spazio, ma nel profondo si purifica l’essere stesso. L’atto creativo è come uno specchio magico: riflette ciò che è, e insieme lo trasforma. Ma questa alchimia non può avvenire in chiunque. Occorre una lente interiore, una visione sottile, capace di abitare il duale senza esserne frammentata.

Vorrei condividere con voi un esempio significativo di come, nella cultura giapponese, la pulizia sia vissuta non solo come un’abitudine legata all’igiene, ma come un autentico atto di crescita interiore: una pratica di educazione spirituale e di profonda armonizzazione con l’ambiente e con l’ordine invisibile che sostiene il mondo. Nella tradizione shintoista, infatti, la purificazione (kiyome) è un rituale sacro; nella vita quotidiana, il gesto del pulire diventa un percorso interiore (), e fin dall’infanzia si insegna a coltivare responsabilità e rispetto attraverso l’atto semplice e potente del riordinare il proprio spazio.

Solo chi ha coltivato un punto di unità dentro di sé – dove luce e ombra possono dialogare senza annullarsi – può vivere l’atto creativo come un’esperienza integra. In lui, il gesto diventa rivelazione, e la materia si fa trasparente al divino.

Pulire uno spazio significa anche pulire i propri schemi, i propri pregiudizi, le incrostazioni sottili che si sedimentano nel cuore. Attraverso gesti semplici come questo, si preserva la limpidezza dell’anima, perché ogni scelta quotidiana può essere vissuta su diversi piani di coscienza.

Tutto è arte. Come un pittore che, scegliendo i colori, i pennelli e la materia, non crea ciò che non esiste, ma plasma il proprio punto di vista, dando forma a una percezione unica di ciò che è. Ogni angolo di vita, attraverso il suo sguardo, si rivela in una nuova luce. Nella diversità degli elementi – l’idea, i materiali, le sfumature – si cela il segreto della creazione: unire l’invisibile al visibile per dare forma all’armonia. Proprio come un puzzle, che da frammenti dispersi ricompone l’integrità di un disegno completo.

La materia, così come la percepiamo, è soltanto la superficie di un’architettura invisibile. Tutto ciò che esiste è attraversato da forze sottili, che la scienza definisce “campi” e la mistica riconosce come “presenza”. Il mondo visibile riflette ciò che accade nei mondi superiori. Ogni forma è parte di un dialogo costante tra ciò che si rivela e ciò che ancora pulsa nel segreto della creazione.

Pochi riescono a percepire questa verità. La società ci ha vestiti di ruoli che ci legano alla sola materia, facendoci prigionieri di un sistema incentrato sul possesso e sul consumo. Ci hanno fatto dimenticare che siamo nati per servire un disegno più alto, e che la vera libertà risiede nella capacità di riconnettersi al mistero della creazione.

Il mondo è come un grande Truman Show o una Matrix. Ma ciò che molti non colgono è che il sistema sociale altro non è che un riflesso distorto di leggi divine: uno specchio offuscato che ha ridotto l’immensità del disegno cosmico alle logiche limitate dell’essere umano.

Anche qui, nel mondo della materia, esistono ruoli, funzioni, strutture. Lavoriamo, viviamo e ci muoviamo dentro un sistema complesso. Ma spesso dimentichiamo una cosa fondamentale: nessun ruolo, nessun potere terreno può sostituirsi a ciò che è sacro.

E allora viene da chiedersi: quante volte, senza rendercene conto, abbiamo messo al posto del divino qualcosa di effimero? Quanto spesso inseguiamo idoli moderni – successo, controllo, approvazione – dimenticando che ciò che ci sostiene davvero non si vede, ma si percepisce nel silenzio dell’anima?

C’è una voce dentro di noi che, a volte in silenzio, ci ricorda che esiste qualcosa di più grande, più vero di tutto ciò che vediamo o inseguiamo. È una conoscenza antica, innata. E in quella Presenza non c’è spazio per idoli o illusioni.

E allora ci si potrebbe chiedere: se la materia è solo il rivestimento, dove abita la verità? Forse dentro, forse dietro, forse in quel respiro invisibile che la muove.

Tutto ciò che cerchiamo fuori, in verità, abita già dentro di noi. Abbiamo in noi tutti gli ingredienti, tutte le lettere e i codici che si manifestano attraverso il linguaggio. Ma le parole stesse sono veli e rivelazioni. Ogni parola è un contenitore segreto, che cela mondi e livelli molteplici, accessibili solo a chi sa leggere oltre la superficie.

Oggi, invece, il linguaggio è stato svuotato e corrotto. L’uso sterile delle parole è uno degli strumenti con cui il sistema oscura la coscienza, allontanandoci dal simbolismo sacro che ogni suono racchiude. Persino termini elevati, come “pulizia”, sono confinati a un piano materiale, mentre in realtà custodiscono significati altissimi, che parlano di purificazione dell’anima e di rettificazione interiore.

Ma a quali livelli si parla davvero di arte oggi? Tutto sembra confinato nei piani più bassi della percezione, intrappolato in una visione impoverita, al di là del rumore di parole ormai svuotate della loro essenza.

L’arte, nella sua vera natura, non è solo forma né spettacolo: è ciò che rende sacro ogni gesto. È presenza, è silenzio che si fa bellezza, è verità incarnata nel quotidiano.

Tutto il resto è distrazione. E il mondo dello spettacolo, troppo spesso, ci propone illusioni e banalità, alimentando una bolla di inconsapevolezza, dove tutto si consuma ma nulla si trasforma.

Ogni persona è speciale solo quando riconosce la propria importanza come individuo consapevole all’interno della collettività. Solo quando prende coscienza della differenza tra ciò che ascolta fuori – spesso mascherato da verità – e quella voce interiore che la connette all’essenza e al Tutto.

È lì che si inizia a vedere quanti filtri, quante sovrastrutture la società ha posto sulla verità, su ogni argomento.

Se questa riflessione su ciò che circola nel web, tra luoghi comuni e ripetizioni, vi ha toccati e volete contribuire con il vostro sguardo, saremo felici di ascoltarvi. Ritrovare la verità è possibile.

Ma si inizia ascoltando. Dentro. E insieme.

Dott.ssa Ronit Mandel Abrahami
Ricercatrice del Movimento

Disclaimer di Riservatezza

Tutti i contenuti di questo articolo sono protetti da copyright e appartengono all’autore. Le informazioni presentate sono il risultato di oltre 30 anni di studio e ricerca sull’isolamento e sulla connessione tra corpo e anima.

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2 Commenti

  • Ivano

    Queste riflessioni sottolineano l’idea che l’arte non sia semplicemente un prodotto dell’ingegno umano, ma una manifestazione dell’anima che tende verso il trascendente. Un’artista, attraverso la sua opera, non solo esprime la propria interiorità, ma invita anche l’osservatore a intraprendere un viaggio spirituale, esplorando le profondità dell’esistenza e della bellezza.​
    Considerare l’essere artista come una funzione dell’anima implica riconoscere nell’arte un ponte tra il mondo materiale e quello spirituale, un mezzo attraverso il quale l’essere umano può connettersi con dimensioni più elevate dell’esistenza.

  • Giovanna

    Un articolo che risuona come una melodia. La propensione a cercare fuori ciò che “ci manca” è la chiave per comprendere quanto sprechiamo di noi stessi pur di non guardarci dentro. La pulizia come atto creativo e di creazione inducono alla calma ed alla pace. Singolare il momento in cui arriva questo articolo: la Primavera della rinascita.
    Grazie Ronit!

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